giovedì 24 giugno 2010

Sul caso Galilei


Ho integrato l’articolo di Hayal’el con qualche mia elucubrazione, qua di seguito.

Sì, il problema è tutto teologico. Si può anche chiedere aiuto a Platone e Aristotele.
Galileo è tratto in inganno (teologico) dalla sua scoperta epocale: il numero, la quantità che, da accidente, diventa elemento sostanziale della realtà. La scoperta è talmente importante che Galileo interpreta tutta la realtà - anche la soprannaturale - con il numero.
Con Galileo la differenza tra la conoscenza umana e divina è unicamente quantitativa: sono meno sapiente di Dio perché non conosco tutte le quantità e le leggi dell’universo, ma se un giorno le conoscerò io saprò sull’universo tanto quanto ne sa Dio (“libro della natura scritto con i numeri”).
Ma questo è un abbaglio: la differenza gnoseologica tra l’uomo e Dio non è solo quantitativa, ma soprattutto qualitativa (legge dell’amore).
Detta in termini platonici: Galileo, giustamente galvanizzato dalle sue scoperte, crede che per raggiungere l’Episteme (la Scienza suprema) siano più che sufficienti le scienze dianoetiche (fisica, chimica, ecc…), poste da Platone al penultimo scalino prima dell’intellezione massima noetica. Galileo, cioè, cancella l’ultimo scalino (metalogica noetica, nous) e lo sostituisce con il penultimo (dianoia), perché ritiene la semplice logica sufficiente a comprendere il mistero di Dio!
Questo modo di pensare è doppiamente sbagliato: non solo Galileo vuole entrare nella teologia con la logica comune ma - ancora peggio - si convince che il numero sia sufficiente alla teologia (non che il numero non sia necessario alla teologia, ma non è certamente sufficiente).
Da qua lo scientismo. Non esistono più le scienze regionali, ma la Scienza - che non è più la metafisica o la teologia, ma la scienza sperimentale e matematica.
Una sostituzione originata da un abbaglio.
La mia fatica sul web è anche per contrastare questo enorme malinteso del pensiero moderno e contemporaneo.
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silvio

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