mercoledì 10 aprile 2013

Il Distributismo contro la crisi

Belloc e Chesterton

di Fabio Trevisan

A Bergamo, presso la Biblioteca Centrale Caversazzi di Via Tasso,è stata allestita una mostra sul Distributismo, visibile al pubblico dal 16 marzo al 15 aprile 2013. Il Movimento Distributista Italiano ha accompagnato la mostra con un ciclo di conferenze e workshop collaterali, culminato con l’intervento di John Medaille, Professore di Distributismo presso l’Università di Dallas (Texas).

La conferenza di Medaille ha condensato nel titolo: “Distributismo: una proposta ragionevole per uscire dalla crisi” l’intenzione del Presidente del Movimento Distributista Italiano, Dr. Matteo Mazzariol, di indicare una via d’uscita dalla crisi attraverso la ragionevolezza e il senso comune. Con questo intento, come ha sostenuto lo stesso Presidente, va colta l’opportunità di leggere, a breve, la traduzione di un significativo saggio di Medaille: “Towards a truly free market (Verso un vero mercato libero)” che il Movimento Distributista Italiano si sta apprestando a completare. Dinanzi ad un sempre più drammatico scenario in cui la finanza sta fagocitando l’economia reale ed in cui la persona e la famiglia si trovano ad affrontare crescenti e insostenibili difficoltà, non solo dal punto di vista economico, ma anche giuridico, educativo, etico, la proposta di riflettere sul decentramento dei poteri e sulla distribuzione della piccola proprietà assume un significativo ruolo di ripensamento del modello sociale di sviluppo della cosiddetta “società del benessere”.

Attraverso i 19 pannelli della mostra, con la consulenza artistica di Domenico Masotti, non a caso sono stati posti all’inizio una ruota ed un albero, ai quali sono stati appesi dei foglietti che testimoniano i frutti del Distributismo: bene comune (vero fine della politica), equità, piccola proprietà, famiglia, sovranità (politica e monetaria). Il primo pannello riassume infatti l’urgenza di una risposta (non solo economica) ai bisogni profondi del cuore e della mente dell’uomo attraverso una riscoperta della realtà non solo attraverso una dimensione del “fare”, ma soprattutto attraverso una pienezza di vita, di una qualità della vita attenta ai bisogni naturali dell’essere.
La critica del realismo e della ragionevolezza della proposta distributista ai modelli utopistici e ideologici della modernità e post-modernità si radica nella fermezza di alcuni principi intangibili (da qui la consonanza con i “principi non negoziabili”) a tutela dell’autentica libertà nella verità della persona. I padri fondatori del Distributismo (Gilbert Keith Chesterton, Hilaire Belloc e Padre Vincent McNabb) erano cattolici che, pur non nascondendo la propria fede, desideravano porre le questioni della dignità della persona, della tutela della famiglia, della salvaguardia e diffusione della piccola proprietà, del ruolo dello Stato e delle relazioni umane e sociali all’attenzione di tutti.
Per questo motivo avevano auspicato, un secolo fa, un ripensamento ed una discussione profonda del modello capitalistico e di tutte le sue conseguenze brutali e disumane che appaiono visibilmente ora nella loro drammatica evidenza. A distanza di un secolo le loro analisi non sono state ancora prese in considerazione, nonostante si possano riscontrare i deleteri effetti del sistema liberal-capitalista in modo sempre più drammatico.

Come ha sostenuto lo stesso Prof. Medaille, co-redattore della Distributist Review, è necessario evitare un approccio estetico o romantico al Distributismo, in quanto impedirebbe di collocarlo in un orizzonte di possibilità pratiche di sviluppo. In un’intervista di qualche tempo fa, Medaille criticava i due principali assunti dell’economia moderna: ovvero che l’economia fosse una scienza fisica anziché una scienza umana (quindi che non implicasse questioni etiche) e che fosse contrapposta alla giustizia (da qui la sollecitazione alla giustizia distributiva). Se si abbandona la giustizia economica, secondo le parole autorevoli di John Medaille, non è possibile raggiungere l’equilibrio. Anche attraverso i testi dei pannelli della mostra è possibile constatare quanto, nei sistemi capitalisti e socialisti che hanno imperversato nell’Occidente, si sia prodotta un’ingiustizia globale ed un commercio cronicamente squilibrato che ha prodotto il fallimento ed il caos sociale.

Un modello distributista, alternativo alla concentrazione della proprietà e delle libertà nelle mani di pochi, specifico dei sistemi capitalisti e socialisti testé evocati, renderebbe uno stesso Stato più snello con poteri maggiormente distribuiti a diversi livelli della società. Se la concentrazione della proprietà e del potere in poche mani conduce infatti al servilismo (emblematica l’opera in tal senso di Hilaire Belloc: “Lo Stato servile”), al contrario la distribuzione e la diffusione del potere porterebbe alla libertà e responsabilità anche sociale. I principi fondamentali del Distributismo (sussidiarietà e solidarietà) non sono che principi riscontrati nella dottrina sociale della chiesa e che questi autori cattolici hanno voluto portare alla riflessione di credenti e non credenti, purtroppo con scarsa attenzione anche dello stesso mondo cattolico. Nel quinto pannello della mostra si sintetizza la critica del Distributismo al capitalismo soprattutto per la separazione perniciosa tra capitale e lavoro, facendo sì che il capitale (come accade oggi) sia sempre in una situazione di forza e di vantaggio rispetto al lavoro. Al contempo, nei testi dei pannelli, la posizione distributista sostiene un giusto ruolo perequativo dello Stato in funzione di tutela dell’equa distribuzione delle risorse e a salvaguardia della dignità della persona e delle famiglie.

Anche il sistema social-comunista (imploso nel 1989, ma non ancora definitivamente sconfitto) è analizzato nel sesto pannello e ritenuto incompatibile alla natura dell’uomo tanto da produrre, come è sostenuto nel pannello successivo, una consonanza insospettabile con il capitalismo: la concentrazione del potere nelle mani di pochi. Se per il capitalismo i “pochi” sono rappresentati dall’elite finanziaria, nel sistema social-comunista i cosiddetti “pochi” sono rappresentati dall’elite burocratico-politica. Un’immagine agghiacciante proposta dal consulente artistico della mostra, Domenico Masotti, ovvero il grande condominio dell’impero sovietico assume così una caratteristica fisica assomigliante ad un coccodrillo che divora e spappola la vita e la libertà delle persone. L’alleanza tra capitalismo e social-comunismo è rappresentata efficacemente ancora dalla fotografia che evidenzia sullo stesso piano l’immagine di Lenin ed un fast food McDonald’s.

Nel nono pannello ed in altri pannelli successivi si evidenzia la necessità di una sovranità monetaria, ovvero il diritto alla proprietà di una moneta a servizio del bene comune. Ribadendo che, già dal 1971, la moneta non è più legata in alcun modo ad una riserva d’oro e che il denaro sia stato“creato dal nulla” solo ed esclusivamente a debito di Stati e cittadini verso il sistema bancario, si sollecita, nell’intento dei curatori della mostra, a ripensare a quell’indebitamento che tanto (e giustamente) fa travagliare l’intera umanità. Un tale indebitamento pubblico (in Italia dicono che abbia raggiunto la cifra superiore ai duemila miliardi di euro) genera fondamentalmente una drastica riduzione delle spese (ed anche dei servizi offerti ai cittadini) ed un aumento delle tasse.
Non essendo più lo Stato proprietario della sua stessa moneta (significativa l’immagine proposta nella mostra della Lira scritta efficacemente come “L,ira dimenticata”) si pagano le tasse ad uno Stato che, non essendo più sovrano, non può fornirci dei reali servizi. Nonostante i mezzi tecnici della mostra testimonino un’arte “povera” (cartoncini, fotografie, ruote di bicicletta) consona tuttavia ai tempi di magra che stiamo vivendo, le sollecitazioni ad un approfondimento della crisi proposte sono di assoluto interesse e di stimolo all’intelligenza e alla riflessione oculata.

Alcune immagini vigorose attestano in modo palese il cosiddetto “bombardamento monetario a tappeto” in atto, proposto con degli obiettivi di tipo militare caratteristico di una guerra armata. Contro questa crisi dirompente e permeante tutto il tessuto sociale, economico e familiare, la mostra ha il pregio di offrire delle valide alternative in linea con un richiamo alla vigilanza da parte di tutti. Il richiamo ad un sistema più partecipativo ad una diversa organizzazione del lavoro e della vita sociale non può prescindere da un coinvolgimento reale di tutti quei corpi intermedi (dai Comuni alle associazioni, dalle corporazioni di arti e mestieri alle confraternite religiose) che hanno permesso uno sviluppo delle varie attività umane, dal lavoro alla cultura, dalla fede alla socialità.

La mostra sul Distributismo (prima nel genere in Italia) ha il fine di proporre non solo una critica ai sistemi imperanti ed iniqui ricordati in precedenza, ma di lasciare una traccia molto concreta su cui indirizzare gli sforzi comuni. Ad esempio il controllo e la qualità dei servizi e beni fruibili deve essere posto al vaglio del cittadino e non imposto da un monopolio e da una concentrazione commerciale a danno dei piccoli produttori. Anche le tariffe minime e massime dei servizi, l’importo e la redistribuzione del prelievo fiscale devono essere conformi all’autonomia ed alla libertà delle singole persone e della centralità della famiglia. Negli ultimi pannelli della mostra si è voluto infine evidenziare quanto il Distributismo non sia un’invenzione utopistica ed arbitraria tipica degli apparati ideologici della modernità, ma come esso sia sempre esistito anche se sovente non riconosciuto. Fino all’avvento della rivoluzione industriale la congiunzione (e non la separazione) tra capitale e lavoro era pressoché considerata normalmente acquisita.

Nella fase delicata in cui stiamo vivendo, la mostra sul Distributismo ha quindi il pregio di additare, attraverso un recupero del pensiero e delle tradizioni antiche, le possibili vie d’uscita da una crisi che sembra totale ed irreversibile. I punti programmatici concreti proposti dal Movimento Distributista Italiano ed esposti a corollario della Mostra dovrebbero stimolare tutti ad una meditazione attenta.
L’alienazione del lavoro non può essere esclusivo tema dell’interpretazione marxista dei mali del capitalismo (che, come si è visto,sono falsamente contrapposti e rappresentano invece due facce illiberali della stessa medaglia), ma piuttosto l’esplicazione di una deleteria divisione tra lavoro e mezzi di produzione che hanno negato la dimensione totalmente umana del lavoro stesso mortificandone la libertà, l’originalità e l’inventiva tipica della natura dell’uomo.

Le caratteristiche salienti del Distributismo, ovvero il mutuo soccorso ed il reciproco impedimento, impediscono la proletarizzazione e la miseria di una parte consistente del corpo sociale da un lato, e l’arricchimento iniquo di pochi eletti dall’altra parte. I principi del Distributismo, affini e contigui ai “principi non negoziabili” non rappresentano, a mio avviso, che uno sviluppo della dottrina sociale della chiesa tracciata dai Padri fondatori, ai quali è dedicata giustamente un’ampia sezione personale delle opere e del coraggioso loro tributo all’edificazione di una civiltà che affonda le sue radici nella tradizione cristiana.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Via d'uscita dalla crisi attraverso la ragionevolezza e il senso comune"? Obiettivo perso in partenza,con questi presupposti.