Dopo l’infelice pezzo
sull’Osservatore Romano commentato da Paolo Rodari, nel quale Monti sembra l’approdo
naturale verso cui guarda la Dottrina sociale della Chiesa, - «grazie a lui e soltanto a lui “è possibile recuperare
il senso più alto della cosa pubblica”» - come di consueto arrivano
puntuali le smentite e tocca leggere che «Ora
la Chiesa fa retromarcia: “Non siamo schierati col Prof”».
Un numero sempre più alto di vescovi è, ovviamente, di
malumore: da ormai troppi anni la Chiesa si presenta dinnanzi al mondo come una
società in «retromarcia» e per nulla «perfetta», come invece prevede il
Magistero.
Rodari scrive che mons.
Domenico Sigalini, presidente della commissione Cei per il laicato e assistente
generale dell’Azione cattolica, è costretto ad ammettere che «non ha
senso evocare l’epoca lontana dell’unità politica dei cattolici». E aggiunge
che la «situazione è molto confusa». Sì, è confusa grazie all’oggettiva debolezza
del Vaticano, che non riesce più a contenere e gestire le spinte del progressismo
in metastasi.
È imprudente e maldestro
svendere la Dottrina sociale della Chiesa per non pagare l’Imu, va
detto. La Chiesa non deve preoccuparsi della povertà, ma della verità. Questa:
«[…] In primo luogo ciò che
ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della
ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica
padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure
proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però
dispongono a loro grado e piacimento.
Questo potere diviene più che
mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni;
onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive
l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia,
sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare» (Pio
XI, “Quadragesimo anno”).
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silvio
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