di Giovanni Cavalcoli
Uno degli aspetti preoccupanti della situazione ecclesiale
da alcuni decenni a questa parte è, come lo sappiamo bene soprattutto noi
sacerdoti, il calo impressionante dell’accesso dei fedeli al Sacramento della
Penitenza.
Io che
confesso da quasi quarant’anni, conosco bene questo fenomeno macroscopico. Ma
il guaio è che quei pochi penitenti, che ancora si accostano al Sacramento,
sono soprattutto anziani, i quali, benché educati nella fede da fanciulli,
hanno dimenticato il senso e il valore del Sacramento per una radicata cattiva
abitudine o intorpidimento della coscienza, scambiando il confessionale per i
luoghi più diversi e più strani, che poco o nulla hanno a che vedere con
l’accusa e la remissione dei propri peccati: ora il confessionale sembra
l’occasione per lamentarsi di torti subìti e peccati commessi dagli altri, o
magari commessi in gioventù e da lungo tempo cancellati, ora un’occasione per
esporre le proprie sofferenze e i propri problemi, ora scambiandolo per una
specie di ufficio reclami o per lo studio di un avvocato, ora prendendo il
confessore per uno psicologo al quale esporre le proprie angosce, i propri
incubi, le proprie paure, i propri turbamenti, ora prendendo occasione dal
confessionale per discussioni di tipo morale, politico, filosofico o teologico,
o per elencare le proprie opere buone, quasi sperando di ottenere con ciò le
lodi dal confessore, o per fare della maldicenza o per sfogare la propria
aggressività o, bene che vada, per fare una chiacchieratina col prete o per
raccontargli che cosa è capitato nel giorno prima o per dire semplicemente che
non si è fatto nessun peccato, neppure veniale, e magari si tratta di persone
che non vengono a confessarsi da un anno o poco meno o anche più. [leggi
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