di Giovanna Arcuri
Il politicamente corretto ha le sue regole e sono regole
ferree. Una di queste impone che di alcuni personaggi della cultura, della
politica, delle arti etc non si possa che parlare bene, anzi benissimo. I
distinguo sull’operato di questi soggetti vengono giudicati, ben che vada, come
un’operazione di cattivo gusto.
Rita Levi Montalcini, deceduta
lo scorso 30 Dicembre all’età di 103 anni, forse appartiene alla schiera di
questi intoccabili, perché oggi ricevere un Nobel - un qualsiasi nobel - è
salire agli onori degli altari laici già in vita, immaginarsi quando poi si è
morti.
Nessuno discute qui le sue
capacità scientifiche (non è il nostro compito), ma il successo come scienziati
non ne autorizza la beatificazione. In realtà nella vita della Montalcini ci
sono luci e ombre. La sua esistenza sin da giovane è segnata dalla sofferenza:
di origine ebraica, nel 1938 deve lasciare l’Italia a seguito delle leggi
razziali e riparare in Belgio. Ma l’esilio dura poco: nel ’40 scappa di nuovo,
lascia il Belgio a motivo dell’invasione di Hitler e fa ritorno in Italia. [leggi
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© La Nuova Bussola Quotidiana
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